Pedro Costa.
Il nero, la ferita del tempo
Ripercorrere la filmografia di Pedro Costa significa anzitutto accompagnare, di film in film, le mutazioni e i cambiamenti di quei personaggi che, come Vanda Duarte, Ventura e Vitalina Varela ricorrono da un'opera all'altra. I corpi cambiano, decadono, con il passare degli anni mostrano la verità del tempo che incide su di loro i segni della sofferenza e del dolore. Corpi reali che incarnano traumi collettivi, secondo un tema che da sempre ossessiona il cinema del regista portoghese.
Costa non cerca pietà per gli ultimi: ne mostra la potenza, la dimensione quasi sacra, pasolinianamente trasfigurante. Ogni sua immagine è dunque potentemente documentaria, proprio perché ricerca una verità del mondo esponendo gli spazi (Capo Verde, il quartiere di Fontainhas) a un processo di trasformazione. È qui, in questo movimento, che si inserisce l'altro grande "personaggio" del suo cinema: il nero. Nei film di Costa i corpi e gli spazi sono fonti di luce circondate dal buio. Ma il nero non è una scelta ornamentale, un vezzo estetico: si pone, al contrario, come una precisa scelta teorica.
Il nero è il vero e più profondo fuori campo del cinema. In esso cade e si nasconde il tempo, inghiottito da un presente senza memoria, ma che preme per emergere. Nel nero giace la sofferenza, si depositano i traumi e i dolori del passato. La luce e il bianco (come l'ospedale di Cavalo dinheiro o le case nuove di Juventude em marcha) diventano così la cancellazione del tempo, il segno asettico dell'oblio.
Con il sostegno dell'Ambasciata del Portogallo a Roma, Camões - Instituto da Cooperação e da Língua, I.P.